Scappo dal caos del mondo
al limitare della città,
i muri si aprono sull’azzurro, l’asfalto sul verde,
cerco un rifugio
luminoso, aperto, silenzioso
dove posso respirare, finalmente, il mondo .
La quiete del pomeriggio che si fa sera
tra le sfumature del tramonto,
la brezza danza tra le foglie del salice,
cammino a piedi nudi sull’erba
fiori gialli mi fanno il solletico.
Sorrido
e il mondo è parte di me.

sabato 22 agosto 2020

La bicicletta come stile di vita

Temperature medie sempre più alte e ghiacci sempre più sciolti. Notizie tutt’altro che buone.
In un mondo che corre troppo rapido, sembra quasi impossibile rallentare.
Eppure non servirebbe molto, non è necessario stravolgere la propria vita.
Due pedali e un manubrio. L’energia generata dal roteare ritmico delle gambe.
Non parlo della domenica, quando molti ciclisti inforcano le loro sfavillanti bici da corsa e macinano chilometri. Parlo del quotidiano.

Sicuramente influisce il luogo in cui si abita, non tutti vivono a distanza ciclabile. Ma troppo spesso osservo un abuso delle quattroruote a motore per spostarsi ovunque, anche in una città decisamente ciclabile come quella in cui mi trovo.
È una filosofia, uno stile di vita, una sana abitudine, prima di tutto.

È vero, l’asfalto è rovinato, le piste ciclabili difficilmente definibili tali (dove esistono…), il traffico caotico.

È vero, d’estate fa caldo, il sole scotta e fa sudare. In autunno c’è nebbia, in primavera piove, d’inverno fa freddo.

Ma vuoi mettere il gusto del sentire l’aria addosso? Perché sì, anche quando fanno 40 gradi, in bici l’aria si sente sempre. Mica come in quei forni che diventano le auto quando stanno parcheggiate al sole. La nebbiolina che bagna capelli e occhiali e sfuma i contorni dei lampioni, nel buio che avanza sempre prima. E il freddo che punge il naso? Il bello di tirare su la sciarpa fino a lasciar fuori solo gli occhi? Che poi, basta pedalare un po’ per accendere un riscaldamento autonomo che funziona a meraviglia.

Il profumo della pioggia sull’asfalto e dei prati che si riaccendono a primavera, l’allungarsi delle giornate, certi tramonti e certi cieli stellati, le fasi della luna. Mica si notano, chiusi negli abitacoli, troppo presi dal traffico, dalla radio, dai cellulari.

Si sente lo scorrere delle stagioni sulla propria pelle.

È vero, talvolta ci si bagna, e anche molto. Con l’esperienza, si impara qualche trucco (e non l’ombrello, per favore, quello sì che è pericoloso!!).

Quello che non si può spiegare a parole è la condizione zen che risulta dall’andare in bici.

La mattina presto, verso il lavoro. Libera la mente e scatena il sorriso. Niente di peggio che iniziare la mattina incarogniti per le code o il non aver trovato parcheggio. Ancor più al ritorno. Ogni pedalata lascia indietro una magagna. Si arriva a casa con la testa leggera, anche nelle giornate peggiori.

Ci deve essere una connessione neuronale tra rotazione delle gambe e sinapsi cerebrali, si entra ben presto in una sorta di loop che genera benessere.

Purtroppo, si vedono sempre meno persone in bici, anche nella mia città. Da piccola, ricordo molte bici in giro. Ora, sono soprattutto studenti e stranieri e qualche anziano vecchio stile. Io stessa, che continuo impenitente a pedalare ovunque, vengo talvolta presa in giro in modo bonario.

Ci si inventano mille scuse, ma basterebbe vedere certi paesi all’estero, in cui le condizioni climatiche sono ben peggiori che alle nostre latitudini. Sono un buon esempio, che è possibile, eccome.

Ovviamente, mi piace pedalare anche al sabato e la domenica, per campagna o le prime colline. Ma senza fretta, non è una gara.

E fare vacanze in bici. Ma questo è un altro capitolo…

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